martedì 20 settembre 2016

Prigionieri dei pifferai

Non volevo e non potevo crederci !
Così sono andato sul sito di ISTAT e mi ha stralunato leggere la specifica del criterio con cui, nel rispetto di quanto convenuto con la Organizzazione internazionale del lavoro, l’Istituto Nazionale di Statistica certifica l’occupazione in Italia.
Occupati: comprendono le persone di 15 anni e più che nella settimana di riferimento:
·   hanno svolto almeno un’ora di lavoro retribuito
·  hanno svolto almeno un’ora di lavoro non retribuito nella ditta di un familiare nella quale collaborano abitualmente
·   sono assenti dal lavoro (ad esempio per ferie o malattia)”
Proseguendo il paragrafo precisa anche cosa debba intendersi per persona in cerca di occupazione.
Persone in cerca di occupazione comprendono le persone non occupate tra 15 e 74 anni che:
· hanno effettuata almeno un’azione attiva di ricerca di lavoro nei trenta giorni che precedono l’intervista e sono disponibili a lavorare entro le due settimane successive all’intervista
· inizieranno un lavoro entro tre mesi dalla data dell’intervista e sono disponibili a lavorare entro le due settimane successive all’intervista”
Finalmente comprendo come mai il tasso di disoccupazione che ISTAT ci rifila periodicamente sia sempre difforme ed inconciliabile con i dati reali sul mercato del lavoro che pubblicano il Ministero del Lavoro e l’INPS.
Mi sembra evidente che la difformità dipenda innanzitutto dal metodo di rilevazione.
Infatti, Ministero del Lavoro ed INPS determinano il saldo occupazionale, e quindi il dato effettivo, sulla base dei contratti di lavoro in essere, dei nuovi contratti inseriti, dei licenziamenti e delle dimissioni intervenute nel periodo (NdR: cioè con rispettosa fedeltà al principio “carta canta”).
ISTAT, invece, pubblica quelle che l’Istituto stesso definisce “stime ufficiali sul numero degli occupati e delle persone in cerca di lavoro” valutate in base ai risultati di “260 mila interviste condotte (ogni settimana) presso circa 160 mila famiglie (intorno ai 370 mila individui)”.
Già solo da questa differenza di metodo si arguisce perché secondo ISTAT il tasso di disoccupazione a luglio 2016 sia sceso all’11,4%, mentre l’INPS evidenzia che nei primi sette mesi dell’anno i contratti di lavoro a tempo indeterminato, documentati, abbiano registrata una caduta del 33,7% rispetto allo stesso periodo del 2015.
E’ fuorviante e distorcente, quindi, che le “stime ufficiali” di ISTAT riconoscano come “occupato” perfino colui che nella settimana dell’intervista abbia lavorato anche una sola ora retribuita, od addirittura un’ora neppure retribuita se prestata presso la ditta di un familiare.
Povera Italia ! Se siamo ridotti a considerare occupazione anche il lavoro di una sola ora settimanale significa, per dirla alla fiorentina, che siamo proprio “con il culo per terra”.
D'altronde, se i contratti a tempo indeterminato sono crollati in sette mesi del 33,7%, come attesta l’INPS, mentre nello stesso periodo i voucher venduti hanno raggiunto il numero record di 84,3 milioni, con un incremento del 36,2% sul 2015 è innegabile non solo che ci contrabbandino come affidabili indici della disoccupazione drogati, ma che la precarizzazione del mercato del lavoro abbia imboccata ormai una china che sarà difficile, se non impossibile, rimontare.

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