giovedì 28 novembre 2013

Comiche e cabaret a gogò in politica

Anche nei remoti teatri di provincia, sulle cui tavole polverose si esibiscono compagnie filodrammatiche, i cartelloni spaziano tra opere di ogni genere, tragedie, commedie, opere buffe.
A differenza, però, di programmi ripartiti su più mesi, il teatrino della politica in pochi giorni ci propone cabaret, commedie, comiche.
Spettacoli indecorosi che si contrappongono al vero dramma vissuto sulla propria pelle, ogni giorno, da disoccupati, cassintegrati, esodati, precari, pensionati e da quegli otto milioni di cittadini che l’ISTAT classifica sotto la soglia di povertà.
Berlusconi, ad esempio, nel fumoso tentativo di distogliere l’attenzione dei soliti grulli dalle colpe che hanno indotta la Cassazione a condannarlo per frode fiscale, ha scomodato Luigi Pirandello ed i suoi “Sei personaggi in cerca d’autore” per tirare fuori dal cilindro fantomatici testimoni che dovrebbero consentire la revisione del processo.
Si tratta, ancora una volta, di una panzana perché sarebbero personaggi già noti alla magistratura, tanto che gli stessi avvocati di Berlusconi hanno manifestati dubbi, nelle ultime ore, sulla revisione del processo.
Di certo non è nuova lady Dominique O’Reilly Appleby che, nel 2007, si è vista respingere, dal Tribunale Federale Svizzero, il ricorso contro il provvedimento dei PM di Milano per quel suo conto presso UBS, sul quale erano confluiti oltre quattro milioni di dollari relativi a pagamenti di Mediaset per diritti TV.
Il pregiudicato Berlusconi, però, deve aver persa ormai la trebisonda se non si rende conto di fare una figura da pirla quando sostiene, oggi, di essere stato truffato, a sua insaputa da chi ha fatta la cresta, riconoscendo così che Mediaset avrebbe pagati diritti TV “gonfiati”.
Ma Berlusconi non si rende neppure conto che così sconfesserebbe avvocati, consulenti e testimoni che, per nove anni, si sono affannati a sostenere che si trattasse, invece, di normali prezzi di mercato.
Si ispirano, invece, a Carlo Goldoni ed alle sue “Le baruffe chiozzotte”, Matteo Renzi e Gianni Cuperlo che non si risparmiano colpi proibiti pur di imporsi nel corteggiamento di quei volenterosi che, domenica 8 dicembre, si recheranno ai gazebo per le primarie.
Sior si, balemo, devertimose, zà che semo novizzi” dice la Lucietta goldoniana, ma Renzi e Cuperlo, apprendisti stregoni della politica, sembrano non divertirsi affatto.
Il sindaco di Firenze, ogni giorno più guascone, appena si sveglia parte all’arrembaggio e tira sciabolate a dritta e a manca, nella speranza di far fuori almeno qualcuno dei mille e mille cecchini, sparsi qua e là e pronti ad impallinarlo.
Cuperlo, dal canto suo, rampollo della nomenklatura, trasuda fifa di sconfitta e pare confidare ormai solo nella possibilità che Renzi scivoli su una delle tante bucce di banana che D’Alema e Bersani continuano a disseminare sulla strada dei gazebo.
La insulsaggine di queste “baruffe nazarene” è testimoniata anche dal fatto che i due rivali si sono ridotti a brandire come armi i detersivi: “finish” per Renzi e “dash” per Cuperlo.
Non potrei concludere questo post, però, senza ricordare la mielosa atmosfera che Angelino Alfano è riuscito a  creare, scimmiottando in chiave grottesca lo shakespeariano “Romeo e Giulietta” .
Come definire altrimenti, infatti, la sdolcinata dichiarazione d’amore con la quale Alfano ha voluto ingemmare il suo discorso all’assemblea del Nuovo Centrodestra: “Caro presidente Berlusconi, qui c’è gente che le vuole bene, che le vuole tanto bene”?
Una dichiarazione spoglia di contenuti politici ma sicura attestazione della inconsistenza progettuale che è alla base del Nuovo Centrodestra, il movimento voluto da Berlusconi come ruota di scorta di Forza Italia.

venerdì 22 novembre 2013

La diversificazione in politica = trappola elettorale

Diversificare l’offerta, proponendo al mercato con marchi diversi prodotti simili, quando non addirittura identici, è una strategia di marketing che adottano molte aziende, soprattutto del comparto dei beni di largo consumo.
Le ragioni, all’origine di queste scelte strategiche, possono essere le più varie quali, ad esempio, la necessità di trovare uno sbocco alle capacità di sovrapproduzione dell’impresa, oppure il desiderio di raggiungere fasce di consumatori con prezzi e promozioni aggressive, che risulterebbero sconvenienti per l’appeal del marchio principale, e via dicendo.
Gestiti con intelligenza e con una cura non solo formale, i processi di diversificazione assecondano, spesso, il conseguimento di risultati positivi.
La novità, oggi, è che anche la politica sembra voler mutuare dal marketing commerciale il modello strategico della diversificazione.
Una trappola tesa al potenziale elettorato del centrodestra !
Per settimane, infatti, i media hanno tenuta viva l’attenzione, dei loro lettori e telespettatori, riferendo della sceneggiata tra falchi e colombe che, diretti da un’abile regista, davano ad intendere di darsele di santa ragione dentro e fuori il Popolo della Libertà.
La “casalinga di Voghera” si sarà domandata: possibile che burattini, politicamente inventati da Berlusconi, abbandonino il burattinaio proprio nei momenti più difficili della sua avventura politica, senza neppure attendere che l’aula del Senato si pronunci sulla sua decadenza ?
La “casalinga di Voghera”, da molti ritenuta la personificazione dell’italiano medio, si sarà posta anche altre domande.  
Ad esempio: come mai la riesumazione di Forza Italia, programmata per l’8 dicembre, ha subita l’improvvisa accelerazione al 16 novembre, cioè poche ore prima che altri movimenti di centrodestra riesumassero anche Alleanza Nazionale ?
Oppure: cosa pensare del fatto che il giorno prima, cioè il 15 novembre, il ciellino Mauro, ex PdL, abbia capitanata la fronda all’interno di Scelta Civica per provocarne la scissione, con l’obiettivo di ricongiungersi ai ciellini Formigoni e Lupi, promotori del Nuovo Centrodestra ?   
Si sarà trattato di semplici circostanze fortuite, oppure erano tasselli di una ingegnosa strategia di diversificazione, mirata a creare una coalizione di centrodestra più articolata e, perciò, in grado di proporre una offerta politica differenziata agli elettori ?
D’altra parte, subito dopo lo strappo era stato proprio Angelino Alfano non solo ad esprimere sentimenti di amore eterno e di riconoscenza infinita nei confronti di Berlusconi, ma a confermare che sarebbe Berlusconi il leader di una coalizione alla quale, Alfano, si è affrettato ad assicurare l’adesione del Nuovo Centrodestra.
Insomma, una separazione che puzza di imbroglio !
Quale potrebbe essere la chiave di lettura di questa serie di avvenimenti, se non la volontà di architettare, per il centrodestra, una strategia di diversificazione?
Ormai, infatti, il Popolo della Libertà aveva dovuto prendere atto che la compiacenza degli ambienti cattolici ed ecclesiali, di cui beneficiava da anni, a poco a poco si era andata affievolendo, anche a causa dei comportamenti e degli impicci giudiziari di Berlusconi.
Non solo, ma la scelta, del PdL, di partecipare al governo delle larghe intese risultava sgradita a quella parte del suo elettorato non ottusamente berlusconiano.
Perlomeno, era ciò che confermavano i sondaggisti, da settimane, indicando come sempre più ampio il divario del PdL dal Partito Democratico.
Inoltre, gli stessi sondaggisti prospettavano la possibile ascesa di Matteo Renzi alla segreteria del PD e, probabilmente, anche la sua candidatura a premier della coalizione di centrosinistra, con un gradimento ampio e trasversale da parte dell’elettorato.
Al Popolo della Libertà, quindi, non restava altro da fare che scompaginare il suo quadro politico, senza rinunziare, però, a partecipare al governo per condizionarne, a proprio vantaggio, l’azione.
Lo scopo: proporre all’elettorato una coalizione di centrodestra con posizioni diversificate per tirare a sé, con il Nuovo Centrodestra, gli elettori che vogliono continuità e stabilità del Governo Letta, e, con Forza Italia, Alleanza Nazionale e Fratelli d’Italia, che si collocano all’opposizione, gli elettori contrari alle larghe intese.
Una strategia che sembrerebbe vincente, almeno stando ai sondaggi delle ultime ore che registrano il sorpasso della coalizione di centrodestra sul centrosinistra, con un vantaggio di oltre due punti percentuali.
Sarei cauto, però, nel tributare un successo definitivo a questa strategia di diversificazione sulla quale incombono, come una spada di Damocle, sia la decadenza da senatore di Berlusconi e la sua non candidabilità per i prossimi sei anni, sia i processi e le inchieste in corso a Milano, Napoli e Bari … sia poi eventuali scelte popolari che potrebbe fare il Governo Letta, sempre che si svegli dal lungo letargo.

giovedì 21 novembre 2013

Perché non difendersi dalle calamità naturali ?

La nostra vita è scandita, oltre che dall’inesorabile trascorrere del tempo, anche da innumerevoli circostanze che si ripropongono sistematicamente.
È forse vero, come sostengono alcuni, che si è perso il normale alternarsi delle stagioni, in compenso, però, non abbiamo smarrita, ahinoi, la regolarità della chiamata alle urne per elezioni, di volta in volta, politiche, regionali, provinciali, comunali, europee e, per non farci mancare nulla, anche primarie.
Ci sono circostanze, comunque, delle quali tutti vorremmo farne a meno, ne sono certo.
Mi riferisco alle calamità naturali che, con assurda regolarità, sfregiano il nostro Paese, lasciando dietro di loro una triste scia di lutti, tragedie umane, rovine.
In questi giorni il cataclisma si è abbattuto sulla Sardegna, con tutta la sua durezza e con il suo carico di angoscia e di dolore per sedici incolpevoli vittime.
Esattamente dodici mesi fa, nel novembre 2012, erano state però le popolazioni del grossetano ad essere colpite da un nubifragio che ha uccise sei persone, oltre ad aver provocati ingenti danni.
Nel novembre 2011 erano stati i genovesi a dover fronteggiare l’esondazione del Bisagno, dello Sturla e dello Scrivia ed a piangere, anche allora, sei morti.
Pochi giorni prima, era il 25 ottobre, lo straripare dei fiumi Magra, Vara e Taro aveva sommerse di acque limacciose le Cinque Terre, lo Spezzino e la Lunigiana, provocando dodici morti.
E potrei proseguire citando, ad esempio, calamità come quelle che hanno colpite le Marche, nel marzo 2011, causando cinque vittime, oppure il Vicentino, nel novembre 2010, con tre morti, od anche la riviera ligure di ponente, nell’ottobre 2010, e la provincia di Messina, nell’ottobre 2009, cagionando trentasei morti.
La sequela delle devastazioni naturali risale indietro nei decenni, assecondata dall’irresponsabilità di una politica che ha fatto affari con la cementificazione per poi intervenire con sanatorie e condoni.
Secondo copione, purtroppo, siamo costretti ad assistere, ogni volta, al rituale ipocrita delle dichiarazioni di cordoglio espresse da quegli stessi parlamentari che, il giorno dopo, dimentichi delle sciagure ritornano a giocare con i loro meschini traffici.
La scusa accampata, per non fare nulla, è sempre la stessa: “mancano le risorse per attuare una efficace tutela idrogeologica”.
Già, infatti secondo gli esperti idrogeologici occorrerebbero dai trenta ai quaranta miliardi di euro per realizzare un piano pluriennale per la “difesa del territorio” dalle calamità naturali e per scongiurare decine e decine di vittime.
Ora non so se la valutazione, formulata dagli esperti, sia corretta o meno, è certo, però, che ogni volta che avviene una catastrofe il governo è costretto a reperire decine di milioni di euro per i soli interventi di emergenza, insufficienti, però, sia per risanare i danni, sia per ripristinare la normalità di vita delle popolazioni colpite.
Per questo, come non incavolarsi se, per le prime emergenze in Sardegna, il Governo Letta ha già stanziati venti milioni, mentre, nella Legge di Stabilità ha commessa l’indecenza di destinare soli trenta milioni per gli interventi di risanamento idrogeologico, per tutto il 2014 ?
Poiché non sopraggiungo da Marte sono al corrente che le risorse pubbliche scarseggino, anche per colpa di tutti i governi che mai si sono preoccupati di tagliare gli sprechi milionari ed i costi indecenti dell’apparato istituzionale e politico.
Siccome, però, tutela e risanamento ambientale sono indicati, dagli idrogeologi, come la vera “difesa del territorio”, mi domando se, per il Governo Letta, questa difesa sia meno importante della “difesa militare”, alla quale ha destinati quasi trenta miliardi per l’acquisto, nei prossimi anni, dei caccia F35 sulla cui affidabilità, tra l’altro, sono in molti ad avanzare dubbi.
Possibile che, per Letta, soddisfare la vanagloria del ministro Mauro e l’ambizione di qualche generale sia più importante di salvare decine di vite umane e di prevenire le devastazioni delle calamità naturali ?

martedì 19 novembre 2013

A “baffino di ferro” è indigesto il cambiamento

L’accanimento, con cui Massimo D’Alema esterna la sua avversione per Matteo Renzi, è quantomeno sospetto.
Può anche darsi che il sindaco di Firenze non sia il candidato migliore, per la segreteria del Partito Democratico, ma criticarlo ed insultarlo, ogni giorno, come va facendo D’Alema, uno dei più navigati mestieranti della politica, sorprende e genera sconcerto non solo nei militanti.
Forse che tanto livore abbia origine nella decisione di D’Alema di lasciare il Parlamento per prevenire la rottamazione renziana ?
Oppure, Massimo D’Alema, gran maestro di inciuci e di appeasement, anche con Berlusconi e le sue aziende, teme che la strada del rinnovamento radicale del partito, auspicato da Renzi, non gli lasci più spazi per i suoi maneggi ?
Fa sorridere, però, che mentre non sarebbe all'altezza come segretario del partito, Matteo Renzi sia sponsorizzato proprio da D’Alema come candidato premier.
Così come sorprende che a dimostrare astio nei confronti di Renzi, con particolare virulenza, siano Massimo D’Alema ed il suo compare, l’eterno sconfitto Pier Luigi Bersani.
Credo che a tormentarli sia soprattutto l’amarezza che quel “ignorante di Matteo Renzi”, come lo ha definito D’Alema, piaccia ai segretari ed ai militanti, dei circoli del partito, che, con le votazioni svoltesi in queste settimane, gli hanno attribuito il 46,7% dei consensi, lasciando al 38,4% Gianni Cuperlo, il prediletto di “baffino di ferro”.
Oddio, che Matteo Renzi, proprio per la proclamata volontà di “rinnovare e ricostruire” il partito, sia malvisto dalla nomenklatura del Partito Democratico, è cosa nota anche ai gatti randagi del Nazareno.
Mi chiedo: se com’è prevedibile Renzi dovesse prevalere alle “primarie aperte e libere” dell’8 dicembre, D’Alema avrà l’umiltà, ma più di tutto il buon senso di riconoscere che i suoi giudizi erano ingiustificati e superficiali ?
Oppure, D’Alema, Bersani e gli altri potenti mummificati della nomenklatura boicotteranno le scelte del nuovo segretario, per impedire il rinnovamento del partito e sottrarsi, così, al loro fatale collocamento a riposo ?
In questi giorni appare evidente che il vivace vento di rinnovamento stia soffiando sullo scenario della politica italiana.
Dopo vent’anni, Berlusconi ha visto andare in frantumi la sua egemonia sul partito da lui creato per l’esclusiva difesa dei suoi interessi, mentre D’Alema si vede messo in difficoltà proprio dagli stessi militanti che, per anni, avevano creduto ciecamente al “baffino di ferro”.
Purtroppo, però, mentre i politicanti, di ogni parte e colore, sono impegnati nella partita delle poltrone, milioni di italiani continuano a patire, ogni giorno, i terribili effetti di una crisi contro la quale la politica si dimostra inetta.

domenica 17 novembre 2013

Il “Division’s day” del panorama partitico

Allo Stadio di San Siro, durante i preliminari della partita di calcio Italia-Germania, il consueto drappello d’inutili idioti ha pensato bene di fischiare l’inno tedesco.
Sono certo, ad ogni buon conto, che la giornata di venerdì 15 novembre 2013 non sarà ricordata per questa ennesima manifestazione d’imbecillità collettiva.
Ho idea, piuttosto, che la giornata sarà rievocata come il “division’s day” dello scenario partitico italiano.
Per una coincidenza, che oserei definire non casuale, nelle stesse ore hanno vissuta la loro scissione due delle tre formazioni politiche che sostengono il governo delle “larghe intese”.
Poche ore prima del Consiglio Nazionale del “Popolo della Libertà”, convocato per decidere la riesumazione di Forza Italia, Angelino Alfano, ed una cinquantina di parlamentari pidiellini, hanno formalizzata la loro decisione di non traslocare in Forza Italia.
Formeranno autonomi gruppi parlamentari sotto il nome di “Nuovo Centrodestra”, sempre che il finiano Italo Bocchino, titolare del marchio “Nuovo Centrodestra”, registrato già nel maggio 2011, ne conceda loro l’utilizzo.
Il Consiglio Nazionale del “Popolo della Libertà”, come previsto, ha approvato il passaggio a Forza Italia non prima, però, di aver dovuto assistere alla sceneggiata del solito malore ad effetto di Berlusconi, assistito sul palco dal suo medico di fiducia, Zangrillo, e da Renato Brunetta che gli teneva amorevolmente la mano.
Aldilà dell’aspra conflittualità tra colombe e falchi, o governativi e lealisti che dir si voglia, la vera causa della rottura va ricercata nella diversa scelta di assicurare la governabilità del Paese, invece di consentire che la decadenza da senatore del pregiudicato Berlusconi spingesse nel caos il Paese.
Nelle stesse ore in cui si attuava lo strappo nel PdL, i rappresentanti di Scelta Civica erano riuniti in Assemblea per decidere sul futuro del movimento e dell’alleanza con l’UdC.
All’Assemblea, Scelta Civica è arrivata martoriata dai contrasti, sempre più evidenti, tra i “montiani”, intenzionati a portare avanti il progetto riformista ispiratore del movimento, ed i “popolari”, sostenitori, invece, del ritorno alle logiche vecchie di una politica ottusa, priva di una visione progettuale sul futuro del Paese.
Abbandonando con ostentazione l’Assemblea, i “popolari” hanno sancita, di fatto, la scissione.
La contestualità, però, di questi accadimenti stimola qualche riflessione, ma soprattutto giustifica qualche sospetto.
Ad esempio, è quantomeno peculiare che tra i più attivi promotori, di entrambe le scissioni, campeggiassero personaggi di “comunione e liberazione”, la consorteria bianca degli affari.
Così come desta curiosità che, tra le file degli scissionisti, ci siano molti ex democristiani, probabilmente ancora nostalgici della balena bianca.
Come non riflettere, anche, sulle assidue frequentazioni che alcuni dissidenti hanno avuto, nelle ultime settimane, con gli esponenti di UdC, Casini e Cesa ?
Proprio Casini e Cesa, eletti in Parlamento solo grazie alla benevolenza, a dir poco incauta, di Mario Monti dal quale, però, hanno prese le distanze, con animosità, non appena assicuratesi le poltrone parlamentari.
Vuoi vedere che dietro la manfrina di queste scissioni c’è la regia di un noto veterano marpione della politica ?

venerdì 15 novembre 2013

I nuovi “avanguardisti”

Quasi certamente il termine “avanguardista” non significherà nulla per chi, del “ventennio fascista”, ne ha solo sentito parlare o ne ha lette le vicissitudine sui libri di storia.
Per questo mi farò aiutare dalle pagine del dizionario Le Monnier che individua come avanguardista “giovane, dai 14 ai 18 anni, inquadrato in organizzazioni paramilitari, durante il regime fascista”.
Ebbene, martedì sera 12 novembre, a Roma in Piazza San Lorenzo in Lucina, nella nuova sfolgorante sede della risuscitanda Forza Italia, si è svolta la prima adunata di un centinaio di aspiranti avanguardisti, arruolati da Daniela Santanchè.
In programma una cena-incontro con il capo supremo, Silvio Berlusconi.
I cronisti, in attesa sulla piazza, hanno cercato di scambiare qualche parola con gli aspiranti avanguardisti, prima che varcassero la soglia del lussuoso palazzo dopo aver superati i rigidi controlli predisposti dalla solerte Santanchè.
Le affermazioni, rilasciate dagli azzimati ragazzotti, tirati a lucido per l’occasione, sono state sconcertanti.
Ad esempio, uno di loro, alla domanda “perché lei è qui ?”, ha risposto: “perché Berlusconi ha fatto del bene all’Italia”.
Al cronista che lo incalzava domandandogli: “può farmi qualche esempio del bene fatto da Berlusconi all’Italia?”, l’aspirante avanguardista ha risposto seccato: “ma che cavolo di domande mi fa … non lo so !”.
Un altro interpellato ha motivata la sua partecipazione all’adunata asserendo convinto: “mia mamma mi ha detto che ero già fan di Berlusconi quando ancora scalciavo nella sua pancia !”.
Un terzo, invece, dando prova di aver assimilata molto bene la sola ragione politica di Forza Italia, ha risposto al cronista: “sono qui per combattere la bieca campagna d’odio della sinistra contro il presidente Berlusconi !”.
Significative dichiarazioni che avranno fatto gongolare la madrina Santanchè, orgogliosa di cotanta passione politica dei suoi cocchi.
Sarebbe stata ancora più orgogliosa se le avessero riferito che quasi tutti gli aspiranti avanguardisti, uscendo compiaciuti dall’adunata, ancora senza il fez d’ordinanza, del discorso del capo supremo ricordavano solo che Berlusconi aveva raccontato loro che ogni mattina è svegliato dal fido Dudù che gli lecca i piedi.
Nessuno di quei poveri tapini si era reso conto che il racconto di quei risvegli rasserenati da leccate, conteneva un messaggio neppure troppo subliminale, vale a dire: cari avanguardisti, per sopravvivere in Forza Italia dovrete imparare soprattutto a saper leccare i piedi a Berlusconi.
A buon intenditore …

mercoledì 13 novembre 2013

Coalizioni … un maledetto imbroglio

Nel leggere le proposte, che politicanti e politologi si affannano a formulare, per una nuova legge elettorale, sono stato colto dal dubbio di aver smarrita, con il passare degli anni, la conoscenza semantica della lingua italiana.
Per questo ho cercato conforto nelle pagine amiche del dizionario Le Monnier dove, alla voce “coalizione”, ho incontrata questa definizione: “Unione, per lo più temporanea, tra gruppi, partiti o stati per il conseguimento di obiettivi comuni”.
Mentre ho potuto tirare un sospiro di sollievo, rassicurato che la conoscenza della mia lingua madre non fosse svanita del tutto, mi sono chiesto, però, come mai tutte le proposte di legge elettorale abbiano in comune il riferimento alle “coalizioni”.
Il dubbio nasce dalla constatazione che tutte le coalizioni, presentatesi alle elezioni politiche del 24 e 25 febbraio scorso, abbiano registrato il fallimento generale del loro presunto “conseguimento di obiettivi comuni”.
Ad esempio, la coalizione di centro-destra aveva visti aggregati il PdL (con il 21,56% dei voti), la Lega Nord (con il 4,08%) e Fratelli d’Italia (con l’1,95%), oltre a 6 altre formazioni, ognuna delle quali si era fermata a meno dell’1% di voti.
Che gli improbabili “obiettivi comuni”, della coalizione di centro-destra, fossero una patacca per turlupinare gli elettori lo si è capito non appena il PdL ha deciso di far parte del cosiddetto “governo delle larghe intese”, mentre i conviventi della coalizione, Lega Nord e Fratelli d’Italia, si sono schierati all’opposizione.
A conferma dell’imbroglio, infatti, i 9.923.109 elettori che avevano votato, alla Camera, confidando in una solida coalizione di centro-destra, hanno visto che i loro voti, nella misura di 7.332.667 voti, quelli del PdL, sono serviti ai berlusconiani per entrare nel governo, mentre gli altri 2.056.191 si sono accomodati sui banchi dell’opposizione.    
I 534.251 voti, sparpagliati tra le altre 6 formazioni, sono serviti invece solo per fare un po’ di fumo.
Non è andata meglio per la arlecchinata imbastita dalla coalizione di centro-sinistra che aveva visti insieme il PD (con il 25,42% di voti) e Sinistra Ecologia Libertà (con il 3,20%) oltre a due formazioni che hanno ottenuto meno dell’1% di voti.
Anche per il centro-sinistra la bufala degli immaginari “obiettivi comuni” si è volatilizzata subito dopo le elezioni.
Infatti, il PD, con i suoi 8.644.187 voti, ha scelto l’amplesso contro natura con il PdL, partecipando al governo delle larghe intese, mentre 1.089.442 di voti, ottenuti da Sinistra Ecologia Libertà, sono andati ad infoltire le file dell’opposizione.
Altrettanto disastroso l’esito della coalizione di centro, tra Scelta Civica ed Unione di Centro che hanno divorziato ancor prima di arrivare al talamo nuziale.
Perché, allora, politicanti e politologi perseverano, ancora oggi, nell’intestardirsi a proporre leggi elettorali incentrate su supposte coalizioni, quando i fatti hanno confermato che si è trattato solo di grossolane truffe ai danni degli elettori ?
La verità è che, senza il pretesto delle coalizioni, sarebbe arduo giustificare quell’indecente premio di maggioranza che si vuole assegnare alla coalizione che risulti vincente.
Come comprovato, peraltro, il premio di maggioranza non serve affatto ad assicurare “governabilità” al Paese, un'altra favola propinata agli italiani.
Non solo, ma è  grazie all’artificio delle coalizioni  se  molti politicanti possono occupare, oggi, i loro redditizi scranni in Parlamento anche se i loro partiti non hanno superata la “soglia di sbarramento del 4%” prevista dalla attuale legge elettorale.
Infatti, senza la scappatoia truffaldina delle coalizioni, il 24 e 25 febbraio scorso sarebbero rimasti a casa, fuori dal Parlamento, i rappresentanti di Fratelli d’Italia, Sinistra Ecologia Libertà, Unione di Centro.
E c’è qualcuno così ingenuo da non riuscire a comprendere come mai siano così numerosi i politicanti che si incaponiscano per mantenere in vita le coalizioni ?

lunedì 11 novembre 2013

“Il trappolone” … le fandonie in TV

Il palcoscenico: RAI 2, studi televisivi del programma “Virus”
Personaggi ed interpreti
Il conduttore: nelle vesti di manipolatore un sedicente giornalista, Nicola Porro, affiliato alla gang degli arcoresi capeggiata da Alessandro Sallusti che è dilettato dall’affettuosa amicizia di Daniela Santanchè.
L’ospite: un berlusconiano della prima ora, Marcello Dell’Utri, ex dirigente Fininvest, cofondatore di Forza Italia, parlamentare dal 1996 al 2013, ma soprattutto già condannato, in appello, a 7 anni di reclusione per “concorso esterno in associazione mafiosa”.
Il canovaccio: puntare su una fantomatica domanda di grazia per infinocchiare i telespettatori ed indurli a credere che Silvio Berlusconi sia solo la povera vittima di angherie, mentre Giorgio Napolitano, invece, sia il bieco maneggione che vuole disarcionare il cavaliere di Arcore.
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Intervistato da Porro, Dell’Utri conferma, con convinzione, che i figli di Berlusconi non solo abbiano firmata la domanda di grazia, ma l’abbiano anche fatta pervenire al Quirinale.
A questo punto Porro lo incalza: “le risulta che è arrivata al Quirinale e che si è persa in qualche ufficio ?”.
Dell’Utri non ha dubbi. Si lascia andare ad una affermazione molto grave, che suona oltraggiosa per il Capo dello Stato giacché sottintende che Giorgio Napolitano, venendo meno ai suoi doveri istituzionali, avrebbe deciso di ignorare la domanda di grazia perché, secondo Dell’Utri appunto: “evidentemente non gliela vogliono dare. Vogliono che Berlusconi si arrenda … si deve arrendere”.
Caspita ! Parole pesanti come macigni !
Sennonché, immediate arrivano le smentite sia da parte dell’avvocato Ghedini, che parla di notizia assolutamente infondata, sia da parte del Quirinale che conferma non essere mai pervenuta la domanda di grazia.
Intanto, però, il gioco è fatto e la gang degli arcoresi è riuscita, ancora una volta, a divulgare notizie false e tendenziose.
Di fatto, tra i telespettatori, che hanno assistito al programma “Virus”, sicuramente ci saranno stati anche molti grulli che hanno abboccato alle falsità imbandite da quel gaglioffo di Nicola Porro.
A fare la figura, però, da scemo del villaggio televisivo è stato Marcello Dell’Utri che, poche ore dopo, non solo si è detto vittima di un trappolone tesogli da Porro, ma ha anche dichiarato: “io, della grazia di Berlusconi non so un tubo!”.
È lecito domandarsi, allora: come mai Dell’Utri si è permesso di sostenere che la domanda di grazia, “firmata dai cinque figli compatti” di Berlusconi, fosse pervenuta al Quirinale, alludendo così che giacesse ignorata in qualche cassetto ?
E, per quale scopo Dell’Utri ha voluto insinuare che Giorgio Napolitano si prefigga la resa di Berlusconi, e per questo rifiuterebbe di prendere in esame la concessione della grazia?
Purtroppo, ancora una volta, la solita faziosa disinformazione è riuscita a propagare le sue tossine attraverso il mezzo televisivo.
Particolarmente preoccupante, in questo caso, che il programma fosse diffuso da RAI 2, cioè una rete di quel servizio pubblico che dovrebbe garantire equilibrio ed affidabilità nell’informazione.

domenica 10 novembre 2013

Un crogiolo del malaffare

Non c’è da sorprendersi se ATAC, l’azienda che gestisce la mobilità autoferrotranviaria del Comune di Roma, sia finita ancora una volta sotto i riflettori come crogiolo del malaffare politico ed affaristico della Capitale.
Un bel daffare, davvero, per la Magistratura romana, impegnata da tempo nello scoperchiare la turpitudine, diffusa e variegata, che si è radicata negli anni in questa azienda pubblica, con la connivenza dei politici che si sono susseguiti nei palazzi romani del potere.
È stato definito “parentopoli”, a ragion veduta, lo scandalo che ha visti otto manager di ATAC rinviati a giudizio, con l’imputazione di abuso d’ufficio, per aver proceduto a 49 assunzione di mogli, figli, cognati, amici, amici degli amici, tra cui anche una ex cubista, “omettendo di fare riferimento nel singolo contratto di assunzione a specifiche e reali esigenze dell’azienda”.
Sfogliando le tredici pagine redatte dal Pubblico Ministero, a chiusura delle indagini, è possibile conoscere, per ognuno dei 49 beneficiati, qualifica, stipendio, irregolarità nella procedura di assunzione ed alla fine … c’è solo da incazzarsi di brutto.
Ma ATAC è implicata anche nell’inchiesta per una tangente di 600 milioni di euro che Breda Menarini avrebbe pagata per la vendita di 45 filobus, mai consegnati.
Inchiesta per la quale è finito in carcere Riccardo Mancini, ex amministratore delegato di Ente EUR.
L’elenco dei misfatti che hanno vista coinvolta, negli anni, ATAC potrebbe proseguire, se non che si viene a sapere, in questi giorni, che la Magistratura romana avrebbe scoperchiata un’altra vicenda inverosimile per la sua scelleratezza.
Ricorrendo ad un sistema di doppia contabilità, alcuni manager ATAC avrebbero messa in circolazione una serie clonata di ticket, per l’utilizzo dei mezzi pubblici, allo scopo di creare fondi neri con i quali foraggiare politici, amministratori locali, partiti e manager.
L’ammontare dei fondi neri si aggirerebbe su 70 milioni di euro, un importo, cioè, frutto dei servizi autoferrotranviari dell’azienda che, però, non figura nei bilanci ufficiali con le intuibili conseguenze rovinose, economiche e finanziarie, sulla gestione.
È inaudito che a fronte di un fatturato ATAC di circa 120 milioni di euro, servizi prestati dall’azienda per un valore di 70 milioni siano stati destinati alla creazione di fondi neri.
Ipotizziamo, ora, che la Magistratura scoprisse una nefandezza, di questo tipo e di questa rilevanza, presso una impresa privata.
Cosa succederebbe ?
Sicuramente imprenditore e manager finirebbero in gattabuia, i loro beni sarebbero posti sotto sequestro, l’impresa collasserebbe sotto il peso di imposte, tasse e salate sanzioni, i lavoratori si ritroverebbero sul lastrico.
Nel caso, invece, di un’azienda pubblica, come è il caso di ATAC, la fitta rete di corruzioni e connivenze, architettata dal sistema politico del malaffare, fa di tutto per ostacolare la Giustizia.
Prima o poi, con pazienza e determinazione, la Magistratura  arriva, però, a mettere le mani sui responsabili di questi misfatti.
Ecco perché sarebbe bello che, nel nostro Paese, si allestissero uno o più campi di lavori forzati nei quali relegare, a pane ed acqua, politici, amministratori locali, manager pubblici, corrotti e corruttori, rei di essersi appropriati e di aver dilapidato il denaro dei contribuenti.
Tra l’altro, sarebbero campi di lavoro di pubblica utilità perché potrebbero servire per realizzare, con costi minimi, le tante opere pubbliche di cui l’Italia ha bisogno.

venerdì 8 novembre 2013

Il polpettone di Bruno Vespa … in salsa natalizia

Da molti anni, nel nostro Paese, percepiamo l’approssimarsi delle feste natalizie non per le luminarie che addobbano le strade cittadine né per la presenza di abeti ornati con palline multicolore, ma per il battage pubblicitario che dà risalto a due eventi ormai ricorrenti come il Natale: la programmazione nelle sale cinematografiche di uno o più film panettone e la comparsa nelle librerie di un nuovo polpettone di Bruno Vespa.
Sui film panettone c’è poco da disquisire, cambiano solo i luoghi in cui le pellicole sono ambientate, ma interpreti e copioni sono più o meno sempre gli stessi, procaci donzelle e gaudenti stupidotti.
Diverso, invece, è il caso dei dozzinali polpettoni di Bruno Vespa, dati alle stampe, ovviamente, da Mondadori, casa editrice della famiglia Berlusconi.
Già, perché il fido Bruno Vespa, devoto maggiordomo dei palazzi berlusconiani, ottiene ogni anno una intervista esclusiva dal Cavaliere che diventa, così, il protagonista principale dei polpettoni in salsa natalizia.
D’altra parte Berlusconi nutre un’innegabile gratitudine per Vespa, che si è fatto usare come spalla nei tanti show televisivi che il Cavaliere ha messi in scena negli studi di “Porta a Porta”; autentici momenti di svago e di crasse risate per molti telespettatori.
Chi non ricorda, ad esempio, il famoso “contratto con gli italiani”, la colossale bufala andata in scena l’8 maggio 2001, oppure il viscido baciamano di Vespa a Berlusconi per annusarne l’ “odore di santità” ?
Questa volta, però, le anticipazioni sull’ultima fatica dello scribacchino prefigurano un polpettone molto simile alla “sagra delle cazzate”.
Come definire diversamente, infatti, questa avventata e disgustosa affermazione di Berlusconi che lo scrivano di corte riporta con soddisfazione: “i miei figli dicono di sentirsi come dovevano sentirsi le famiglie ebree in Germania durante il regime di Hitler”.
Ora, mi domando: è mai possibile che il Signorotto di Arcore sia rimbambito al punto di scambiare ristoranti di lusso, night e discoteche, liberamente frequentati dai suoi figli milionari, con i campi di concentramento ed i forni crematori in cui sono morti milioni di ebrei ?
Ma la “sagra delle cazzate” si arricchisce di un’altra arrogante affermazione di Berlusconi, registrata fedelmente da Vespa: “mi dicono che per avere la grazia bisogna aver iniziato a scontare la pena. Dunque Napolitano sarebbe ancora in tempo”.
Parole che rivelano tutta la boria e la tracotanza del signorotto brianzolo.
Berlusconi, infatti, ha sempre escluso di voler richiedere la grazia perché, fin dal primo giorno, ha rifiutato di riconoscere ed accettare la condanna definitiva inflittagli dalla Corte di Cassazione.
Ora, mal consigliato dallo stuolo di avvocati, lautamente remunerati, pretenderebbe che fosse il Capo dello Stato a concedergliela.
Possibile che nessuno tra così eminenti avvocati gli abbia spiegato che, innanzitutto, lui la pena non ha ancora incominciato ad espiarla, nonostante siano già trascorsi più di tre mesi, e poi che, con tutti i procedimenti a suo carico ed una condanna in primo grado a 7 anni di reclusione ed a 6 anni di interdizione dai pubblici uffici, per il processo Ruby, neppure il Padreterno, sceso sulla terra, potrebbe concedergli un atto di clemenza ?
Per concludere, però, una semplice considerazione: ma è mai possibile che Bruno Vespa sia così sottomesso e servile, nei confronti di Berlusconi, da non avere neppure osato sospettare che dichiarazioni, come quelle citate, se pubblicate avrebbero trasformato il suo polpettone in una “sagra delle cazzate” ?

giovedì 7 novembre 2013

Te absolvo a peccatis tuis … ma senza penitenza

Mentre la Grande Mela affida il suo futuro nelle mani di un italo americano, Bill de Blasio, in Italia siamo in balia di un governo malfermo, soggetto alla schizofrenia di un pregiudicato, Silvio Berlusconi, ed alla irresolutezza di un vanaglorioso politicante, Enrico Letta.
Una compagine governativa ad elevato rischio di impeachment, dal momento che, in meno di sei mesi, già quattro ministri hanno dovuto giustificare comportamenti imbarazzanti, che hanno creato sconcerto nell’opinione pubblica.
Ad essere colta per prima con le mani nella marmellata è stata Josefa Idem, il 28 aprile 2013 nominata Ministro per lo sport e le politiche giovanili, ma dopo due mesi costretta alle dimissioni per aver evaso il pagamento di ICI ed IMU per alcune sue proprietà immobiliari.
Si arriva a fine maggio 2013 ed il Vicepremier e Ministro degli Interni, Angelino Alfano, insieme al Ministro degli Esteri, Emma Bonino, si trovano invischiati nella avventata espulsione dall’Italia della moglie e della figlioletta del dissidente kazako Ablyazov, caricate a forza su un aereo che il governo kazako si era affrettato a far atterrare a Ciampino.
In un qualsiasi paese normale, due ministri che si presentassero in Parlamento giustificandosi con “io non c’ero e se c’ero dormivo e se dormivo sognavo di non esserci”, sarebbero cacciati a pedate con ignominia.
In Italia invece no !
Alfano e Bonino, infatti, ottenuta l’assoluzione da un compiacente Parlamento, proseguono nel loro immeritato ruolo dopo aver addossata, secondo copione, la colpa degli errori commessi sui loro collaboratori.
E siamo al 5 novembre.
In Parlamento, per chiedere perdono e l'assoluzione, c’è questa volta il Ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri.
Il Ministro Cancellieri è amica, di vecchia data, di Antonino Ligresti e Gabriella Fragni, moglie di Salvatore Ligresti.
Dopo che Salvatore Ligresti e le figlie Jonella e Giulia Maria sono stati arrestati a seguito dell’inchiesta FonSai, la Guardia di Finanza ha proseguito le indagini mantenendo sotto controllo le utenze telefoniche dei loro familiari.
Accade, così, che la signora Fragni viene intercettata mentre telefona al Ministro Cancellieri per farle presente che la detenuta Giulia Maria è anoressica e, anche per questo, è insofferente al regime carcerario.
Poiché l’amicizia è un sentimento sacro, Anna Maria Cancellieri, incurante del distacco che le impone il suo ruolo istituzionale, segnala il caso di Giulia Maria Ligresti ai suoi collaboratori.
Può darsi che la segnalazione del Ministro non sia stata determinante per la concessione degli arresti domiciliari a Giulia Maria Ligresti, se è vero che il caso era già all’attenzione del magistrato competente.
Di certo, però, il Ministro non ha riflettuto, in quei momenti, sul dramma delle migliaia di detenuti, altrettanto cagionevoli, che sono rinchiusi dietro le sbarre in attesa di giudizio.
Comunque, il Ministro Cancellieri ha ottenuto il perdono e l’assoluzione dal Parlamento, ed ha consentito al Governo Letta di uscire indenne, ancora una volta, dalle disavventure dei suoi ministri.
Indenne soltanto sotto il profilo formale, perché, in effetti, i pasticciacci, in cui sono stati coinvolti Idem, Alfano, Bonino, Cancellieri, hanno offerta all’opinione pubblica, almeno a quella parte che pensa, uno spettacolo di scarso credito e di dubbia correttezza dell’esecutivo.
Poiché tutto ciò è avvenuto in soli sei mesi … non ci resta che attendere che dal confessionale parlamentare si levi l’invito: “avanti il prossimo”!

venerdì 1 novembre 2013

“C’è del marcio in Danimarca”

In queste ore, assistendo alla bagarre, inscenata dai pidiellini dopo che la Giunta del Senato ha deciso il voto palese sulla decadenza di Berlusconi, ho ripensato alla celebre frase che Shakespeare fa pronunciare a Marcello nell’atto I, scena 4 dell’Amleto.
Parafrasando, infatti, l’espressione shakespeariana non ho potuto fare a meno di domandarmi: “c’è del marcio in Parlamento?”.
Da sempre, considero una vergogna che i parlamentari possano nascondersi dietro al voto segreto, negando così agli elettori il diritto di conoscere come si comportano i loro rappresentanti, ma non è questo il motivo della domanda che mi pongo ora.
Né trovo interessante addentrarmi nei regolamenti parlamentari, o tentare di comprendere perché i regolamenti di Camera e Senato debbano prevedere modalità diverse per il voto segreto o palese.
Sarei curioso, invece, di capire cosa ci sia, in realtà, dietro le scomposte reazioni con cui il PdL ha accolta la  decisione della Giunta.
Se fossi malizioso potrei essere indotto a pensare che la scelta del voto palese abbia rotte le uova nel paniere a qualche macchinazione che i berlusconiani, e non solo loro, avevano predisposta.
Potrebbe essere, ad esempio, che Verdini, Schifani, Santanchè, Brunetta ed altri, si siano resi conto che con il voto palese falliranno i cospicui investimenti fatti per comprare i voti di quei quaranta senatori che avrebbero dovuto salvare Berlusconi.
Oppure, potrebbe anche darsi che alcuni senatori del PD e di Scelta Civica, per colpa del voto palese, non potranno fare i franchi tiratori per evitare la decadenza di Berlusconi.
Certo è che, in Senato, se bastasse il ricorso al voto palese per buttare all'aria inciuci e intrichi … allora sarebbe confermato che “c’è del marcio in Parlamento”, e questa volta senza il punto interrogativo.